giovedì, ottobre 26, 2006

Venezia Parte II. Second world conference on the future of science

Appunti e riflessioni su “The Future Of Science”. Conferenza internazionale di sfarzi e riflettori puntati, sul futuro della scienza, di noi scienziati, della cultura che si afferma con il sorriso stampato brillante di Umberto Veronesi.
Merita un breve cenno la presentazione dell’evento nella serata di mercoledì 20: siamo stati accolti alla conferenza stampa e ad un cocktail di benvenuto all’interno di Palazzo Ducale, basiti tra saloni affrescati, personalità di spicco in abito elegante, frotte di catering cibo e vino e quartetto d’archi e putti che versano acqua sulla vaschetta delle macedonie. Stupefatti nella nostra semplicità di studenti. L’organizzazione e la cornice data dai luoghi della conferenza e dalla città stessa hanno confezionato un’impronta di eleganza precisa e soffusa, decisamente piacevole, a tratti forse eccessiva. Ci hanno viziati da pazzi.
Il ciclo di conferenze si è svolto nell’isola di San Giorgio Maggiore, all’interno della fondazione Giorgio Cini, una struttura ricca di sale e chiostri con un ampio parco sapientemente sfruttato per il buffet all’ora di pranzo e il breve relax seguente – ottima occasione per scambiare due parole con gli altri partecipanti all’evento: giovani ricercatori più o meno pessimisti, docenti universitari illuminati, frustrate professoresse liceali, o gli stessi speaker (più o meno brilli). La lingua ufficiale è l’inglese, con buona pace di qualche meteora integralista che si lamenterà dell’oltraggioso affronto – ecco lo zoccolo duro di professori anzianotti recidivi o di natura poco portati per le lingue (ma c’erano anche i traduttori simultanei…).
Il primo giorno, giovedì 21, è stato dedicato al tema astronomico, con il titolo “the evolution of matter”; tema che è stato trattato con interventi necessariamente più tecnici, comunque appassionati. Inizia col fare il punto della situazione Lisa Randall, visibilmente giovane e tenace professoressa di Fisica da Harvard, e più o meno c’è tanto da dire, tante teorie emerse negli ultimi anni, tanti spunti con i quali stupire l’audience. Soprattutto si parla della materia oscura, dark matter, che ognuno degli speakers citerà in seguito con alla mano dati leggermente diversi; fulcro di controversie nell’ottenere una migliore definizione dello spazio circostante. Come approciare lo studio di qualcosa che non si vede, ma della quale è stata inferita la presenza partendo da prove sperimentali?
Seguono Paolo de Bernardis, da La Sapienza, dal quale credo di aver capito che si è poi optati per un universo piatto, nel dubbio tra sferico e ellittico; e Günter Hasinger dal Max-Plank di Garching, che illustra studi sui massicci buchi neri al centro delle galassie attraverso l’uso dei raggi X. Non ha bisogno di presentazioni la grande Margherita Hack, che parla di megastelle e galassie utilizzando un inglese scorrevole e gli appunti apparentemente caotici scritti a mano in lucidi A4 proiettati, invece della canonica presentazione Power Point. Altra scuola. Come le stelle più massicce e antiche abbiano contribuito alla formazione delle galassie attraverso l’arricchimento in metalli pesanti: dopo l’esplosione e il collasso resta una nube di polveri, che forma la galassia, che forma stelle di seconda generazione, e così via. Ma non sono mai state osservate queste stelle di prima generazione (contenenti solo idrogeno ed elio e di vita breve), formatesi dalle prime galassie, che avrebbero dato il via alla formazione degli altri elementi della tavola periodica a partire da reazioni all’interno del loro nucleo.
Salto il pomeriggio di mercoledì per completare la visita della biennale di architettura, e ritorno all’isola di San Giorgio per la giornata più interessante, venerdì 22: il tema è “the evolution of life”.
Chairman è un affilato Peter Atkins, al quale sfuggiranno caustici commenti personali alle inevitabili provocazioni della parte catholic/ID dell’udienza. Al bando l’ipocrisia.
Introduce la serie degli interventi Edoardo Boncinelli, immancabile presenza al dibattito sull’evoluzionismo biologico. L’evoluzione – un fatto, anzi “un edificio solidissimo”, delineato in poche semplici frasi: gli organismi viventi derivano da un gruppo comune ancestrale, di circa quattro miliardi di anni fa; il risultato di due forze principali combinate, che sono mutazione casuale e selezione naturale. Sorgere di nuove variabili e fissazione delle stesse attraverso una fitness differenziale. L’attuale visione evolutiva definita come “Neo-Darwinismo” si avvale dell’integrazione data da un paio di critiche mosse il secolo scorso, che non hanno demolito la teoria, bensì l’hanno arricchita e ampliata: si tratta del Neutralismo, che considera un alto tasso di mutazione non percepibile e quindi non sottoposta a selezione, e della teoria degli Equilibri Punteggiati di Eldrege e Gould, dove viene accolta la possibilità di avere “scatti” nella comparsa di nuove forme di vita in periodi geologicamente brevi, in contrapposizione a lunghe fasi di lenti mutamenti. Ora che possiamo vedere con più chiarezza le basi dell’ereditarietà genetica ci si sta concentrando sulle modalità di espressione dei geni, e questo è un terreno molto fertile sul quale si sviluppa la teoria del cosiddetto “evo-devo” (evolution and development). La genetica dello sviluppo ci fornisce nuovi strumenti per indagare l’incredibile meccanismo della vita; gli studi sui complessi dei geni Hox e sulla loro regolazione nelle prime fasi embrionali sono stati ricordati da molti tra gli speakers della giornata. Ad esempio da Denis Duboule, zoologo svizzero, che ha fatto un intervento molto interessante, leggermente più “tecnico”, parlando della rivoluzione genomica e delle sue conseguenze rispetto al “Darwinismo”. Dalla forward genetic, modalità che induce modificazioni per risalirne alla causa genetica, si è passati alla reverse genetic, ossia prendere un gene modificato e vedere come agisce. Ora sappiamo come vedere direttamente dove i geni si esprimono nello sviluppo; e possiamo anche vedere l’evoluzione stessa! Ecco una carrellata dei punti di vista, concetti evolutivi: nel 1985 si parlava di universalità del gene, verificando che condividiamo gli stessi geni di altri animali sepppur molto differenti da noi; nel 1990 ecco il concetto dell’universalità dei principi e dei moduli, esemplificato nel caso della proboscide dell’elefante che non si sviluppa a partire da un apposito set di geni “proboscide”, ma riutilizzando geni e moduli di altre parti; nel 1995 infine abbiamo l’universalità dei genomi, illustrata dall’alto carattere conservativo di larghe porzioni del genoma: la selezione interviene su parametri più globali del gene stesso, e i moduli costruttivi rispettano ristrette morfologie che impediscono la loro libera evoluzione (conservazione e stabilità). Come può reggere, alla luce dei fatti, la prospettiva di una graduale evoluzione verso l’umana perfezione biologica?
Segue Ian Tattersall, antropologo scozzese dall’American Museum of Natural History. Nel rivolgere lo sguardo verso l’evoluzione umana, Tattersall subito focalizza il vero cambiamento nell’apporto dell’evoluzione culturale e tecnologica, stabilizzata ormai da tempo la nostra forma biologica. A partire dalla comparsa del pensiero simbolico, del quale restano tracce fossili sotto forma dei primi utensili correlati agli insediamenti umani.
Parla ora Tecumseh Fitch, dall’università di St. Andrews; autore dei principali articoli sulle ricerche in merito al linguaggio, assieme a Noam Chomsky e Marc Hauser (il quale presente al dibattito, interverrà il giorno seguente). Da alcuni meccanismi fisiologici che permettono all’uomo di parlare, presenti anche in altri animali (la laringe che scende in una specie di cervo) ma evidentemente non sufficienti né necessari alla produzione del linguaggio; fino alle strutture sintattiche e agli apparati dell’apprendimento, passando per alcuni cenni sugli studi del gene FOXP2, probabilmente coinvolto nella produzione fonetica della lingua parlata.
Chiude la mattinata lo storico Luigi Luca Cavalli-Sforza, un’istituzione per la genetica umana, professore a Stanford. Nel suo intervento, forse non particolarmente incisivo, polemizza sulla crisi attuale tra antropologia culturale e antropologia fisica, lamentando il progressivo allontanamento tra le due discipline che dovrebbero invece trovarsi in maggiore sinergia. Affronta poi il tema della trasmissione culturale da un punto di vista scientifico, confrontandola con i mezzi propri della genetica e sottolineando diversi casi di correlazione tra i due aspetti.
Nel pomeriggio si apre una tavola rotonda sull’evoluzione della scienza e della cultura. Un tema di ampio respiro, che permette ai partecipanti di divagare su casi di studi estremamente interessanti e riflessioni pungenti. Hauser illustra diversi esempi sul tema dell’autocontrollo verso diversi tipi di tentazioni rilevabile negli stadi giovanili, e di come in diverse specie animali sia stato studiato in relazione all’aggressività o a disordini sociali che si manifestano poi nell’adulto.
Ma è sull’evoluzionismo che tutti aspettano delle risposte, e ovviamente sull’infinito dibattito in corso contro creazionisti e sostenitori dell’ID. A questo proposito Daniel Dennet, sempre schietto e tagliente nei suoi interventi, sostiene che dobbiamo semplicemente iniziare a ignorare l’ID: secondo la sua esperienza infatti, più se ne parla e si lavora per screditare questa sorta di teoria, più si ottiene un solo risultato: fare il loro gioco. In questo modo la massa sarà portata a pensare che questi punti di vista siano piuttosto fondati e attendibili, visto tutta la fatica che se ne fa per dimostrare la loro infondatezza! Questa conclusione piuttosto paradossale riscontrata da un semplice test effettuato sull’udienza di un precedente congresso suggerirebbe di concentrarsi maggiormente nel consolidare la teoria evoluzionista; e aggiunge, nel rassegnarsi alla frustrante idiozia dell’altra sponda, di non trascurare di riconoscere i nostri idioti… Come Steven Pinker non manca di far notare, secondo alcuni sondaggi chi afferma di non credere alla teoria di Darwin in realtà mostra di averla capita male! È vero, è una teoria che si basa su meccanismi di comprensione non immediata alla mente umana, e soprattutto quel che è peggio è che sta assumendo i connotati di una battaglia sociale o morale; anzi, ormai si è fatta chiaramente una battaglia politica: stai dalla parte di Dio o di Darwin? Il rifiuto di Darwin è la paura del nichilismo, del determinismo, della perdita del libero arbitrio; un processo evolutivo che prescinde dal singolo, e che annulla i valori tradizionali. Quello che non si deve dimenticare è che i risultati scientifici non sono dogmi, ma interpretazioni di fatti molto probabili. Non sono altresì forme “moderne” di religione, come si può pensare nel vedere spesso un Darwin iconizzato nell’immagine di un saggio vecchio barbuto… E che l’evoluzione non è un processo, ma un risultato.
La terza e ultima giornata di sabato è dedicata all’ “evolution of mind”.
Steven Pinker in apertura espone il concetto di nicchia cognitiva, che riassume le caratteristiche adattative espresse dal ruolo culturale, sociale, comunicativo. Alla base troviamo la comprensione del sistema di interrelazione causa-effetto del mondo circostante, dal quale sviluppare tecnologie appropriate attraverso il ragionamento; seguito dalla necessità di un’azione cooperativa, resa possibile dal linguaggio. Questi fattori sarebbero coevoluti sotto pressioni selettive reciproche.
Segue Hauser, sull’evoluzione di una “moral grammar”: un parallelismo tra i mezzi propri del linguaggio e l’istinto morale condiviso. Comprendere i meccanismi delle biologiche facoltà morali, che non dipendano dal tipo di società ma possano essere condivisi, può aiutarci a dare un valore diverso ai concetti di “giusto” o “sbagliato” e nelle interpretazioni di problematiche socio-giuridiche. I test di questo esperimento sono stati condotti cercando di annullare i condizionamenti culturali o le implicazioni emotive, nel discriminare quello che è il semplice giudizio dall’effettiva risposta (il modo di agire) utilizzando dilemmi artificiali idonei a successive analisi statistiche; questi test psicologici presentano situazioni ambigue, che non riflettono tematiche dirette e inflazionate, come l’aborto. Il test si può anche fare on line su http://moral.wjh.harvard.edu/ . Tra i risultati si scopre una cosciente discriminazione tra azione ed omissione: nel secondo caso il giudizio morale è più clemente (nel lasciare che si verifichi un evento inaccettabile, rispetto a un azione che ne sia la causa). All’esperimento sono stati sottoposti anche soggetti con psicopatie diagnosticate, e con lesioni cerebrali alla regione ventrale mediana (quella deputata al controllo sull’emotività). Questi ultimi soggetti hanno mostrato una risposta significativamente alterata a dilemmi riguardo la sfera morale personale, rispetto ai casi normali di controllo e agli individui affetti da psicopatie.
Michael Gazzaniga, pioniere delle neuroscienze da Santa Barbara, si interroga sull’unicità del cervello umano. Sono stati effettuati diversi studi per indagare la lateralizzazione della corteccia cerebrale nell’uomo, attraverso casi di pazienti con la commistura tra i due lobi recisa (split-brain studies).
Sempre in merito alle neuroscienze è l’intervento di Antonio Damasio, sull’evoluzione e la definizione di “emozioni” e “sensazioni”. Emozioni come un programma principalmente innato di azioni automatiche e strategie cognitive, finalizzate alla gestione della vita. Sensazioni (feelings) come componente percettiva: informazioni sullo stato del corpo e stato alterato delle risorse cognitive, e dispiego di un set codificante intenzionalmente connesso all’oggetto causale.
A fine mattinata Iranaud Eibl-Eibesfeldt, etologo viennese, cerca di lanciare lo spunto socio-umanitario incoraggiandoci all’utilizzo del linguaggio per risolvere i conflitti nel superare l’istinto alla difesa del gruppo, e richiamando il sacro valore della famiglia.
Parla ora Tommaso Poggio, professore di informatica e intelligenza artificiale al M.I.T., definendo il nuovo quadro che hanno assunto le neuroscienze in coevoluzione con l’AI: comprendere il funzionamento del cervello per portare i modelli della biofisica alla tecnologia dei circuiti. I geni non possono spiegare da soli la cultura umana, ma come i memi (idee) possono replicarsi e diffondersi; si può imparare molto sul cervello verificando come replica le idee.
Maurizio Martelli, dall’università di Genova, continua la prospettiva sulle scienze informatiche. La logica della categorizzazione concettuale è alla base della programmazione come della rappresentazione linguistica. Cognizione è computazione. La questione finale può essere come passare da una rappresentazione della conoscenza procedurale (o analogica) a una più esplicita, dichiarativa, di ordine superiore.
È il momento di Philip Pettit, composto ma incisivo professore di teoria politica e filosofia a Princeton. Molto interessante e preciso il quadro che traccia sull’evoluzione delle norme. Se l’altruismo è limitato, il senso di norma sociale è mantenuto dalla tacita paura della disapprovazione da parte degli altri membri della comunità.
Conclude la serie degli interventi Daniel Dennett, carismatico oratore – che sì, somiglia egli stesso a Darwin… Il suo tema piuttosto provocatorio segue la domesticazione del meme selvatico della religione. A partire da alcune interessanti questioni: perché siamo così tanti? Il 98% della biomassa animale sulla terra corrisponde alla popolazione umana e al suo bestiame domestico. Abbiamo il coltello dalla parte del manico, insomma. Parallelamente possiamo seguire la religione attraverso una sua personale storia evolutiva, come un prodotto del sistema sociale brillantemente designato, frutto di una “reverse engeneering”: deliberate risposte sottoposte a pressione selettiva differenziale. Cita a proposito il curioso esempio della formica che incessantemente sale per raggiungere il filo d’erba: senza alcun scopo apparente se non quello di farsi mangiare dalle mucche che pascolano. È stato trovato un batterio all’interno del cervello della formica, che pare riesca a manipolarla per raggiungere il suo scopo: arrivare allo stomaco della mucca dove poter compiere il proprio ciclo vitale. C’è sempre una spiegazione a comportamenti che implicano il dispendio di energie. Ma anche noi umani possiamo sacrificarci per una causa: la sottomissione a Maometto, o al seme del Dio cristiano piantato e trasportato da mente a mente. L’uomo muore per un’idea: la propria religione, o il comunismo, o la libertà. Solo la nostra specie riesce a trovare idee per le quali morire, superando l’istinto animale per il quale lo scopo principale della vita sia massimizzare la progenie; rinunciamo all’imperativo genetico. Le idee possono parassitare, sabotare le nostre menti: idee che si replicano, si evolvono, e in questo del tutto simili a virus. Le idee si replicano nelle nostre menti ogni volta che vengono pensate, e possono viaggiare da una mente all’altra. E la bibbia è il testo più replicato del mondo. Infine, attraverso una frase di F. Crick, ricorda che “l’evoluzione è sempre più furba di noi”. Alle pecore, addomesticate e quindi selezionate da noi, è andata apparentemente bene: sono protette dai predatori, hanno cibo, possono riprodursi. Ma il loro cervello è diventato molto più piccolo delle loro cugine selvatiche, i loro sensi meno acuti: di questo non possono rendersi conto. A questo punto, non si può tralasciare la comprensione del disegno evolutivo anche nei confronti della religione.
La conferenza si conclude con le parole degli organizzatori, che enfatizzano il clima di dialogo e di interdisciplinarità manifestato in questa tre giorni. La sete di conoscenza è il motore della cultura, il lubrificante della coesione sociale, come hanno dimostrato le parole molto politically correct della vicepresidente Kathleen Kennedy Townsend, donna americana vincente e orgogliosamente cattolica open-minded. Tutti assieme ce la possiamo fare, a unire i popoli nella pace e nell’armonia, a combattere il male. Vincenti al tramonto sulla laguna veneta, gli occhi lucidi di speranza ed entusiasmo chiudiamo queste pagine calibrate pronti ad aprire come supereroi un nuovo capitolo nel vicino domani.

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1 Comments:

Anonymous Anonimo is happy to say:

ti amo ma sei logorroica

4:07 PM  

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